Prologo:
Il tramonto si tingeva di rosso, mentre le ombre si allungavano sui vicoli di una città silenziosa. Da qualche parte, dietro una finestra semiaperta, qualcuno stava morendo. Nessuno aveva sentito nulla, nessun grido, nessun rumore sospetto. Solo il silenzio. Un silenzio opprimente, inquietante, che nascondeva segreti e bugie.
Il commissario Luca De Angelis osservava la scena del crimine con uno sguardo assente. C’era qualcosa che non tornava. Ogni dettaglio sembrava troppo perfetto, troppo preciso. Un delitto così metodico non era il lavoro di un dilettante. Qualcuno stava giocando con loro, qualcuno che sapeva come coprire le proprie tracce. Ma il silenzio non era eterno, e Luca sapeva che ogni ombra aveva la sua luce.
“Non c’è nulla qui”, disse l’ispettore Mantovani, interrompendo i pensieri di De Angelis. “Un’altra pista morta?”
De Angelis non rispose. Si allontanò lentamente dalla scena, il suo intuito gli diceva che c’era molto di più di quanto apparisse. Era solo l’inizio di qualcosa di terribile. E quella notte, la città, avvolta nel silenzio, avrebbe presto conosciuto l’eco del terrore.
Capitolo 1: Un Delitto Perfetto
Il rumore delle sirene riempiva l’aria mentre le luci blu della polizia illuminavano la facciata elegante di un palazzo signorile. Era una notte fredda, ma non pioveva. Un silenzio innaturale avvolgeva il vicolo, rotto solo dai passi pesanti degli agenti che scendevano dalle volanti. L’intero quartiere sembrava trattenere il respiro.
Il commissario Luca De Angelis uscì dall’auto con il volto scuro e il cappotto alzato fino al collo. Da vent’anni in servizio, aveva visto di tutto, ma ogni volta che un nuovo caso si presentava, una sottile tensione si faceva strada dentro di lui, come un vecchio amico che non se n’era mai davvero andato.
L’ispettore Alessandra Mantovani lo stava aspettando all’ingresso del palazzo. Si avvicinò con passi rapidi, la fronte leggermente corrugata.
“È brutto, Luca. Molto brutto”, disse senza tanti preamboli.
De Angelis la osservò per un istante, cercando di cogliere qualcosa dal suo sguardo che non aveva detto a parole. “Cosa abbiamo?” chiese, mentre insieme si dirigevano verso l’ascensore.
“Siamo stati chiamati poco più di un’ora fa. Il custode ha sentito un rumore, ma quando è andato a controllare non ha visto nessuno. Poi ha trovato la porta dell’attico aperta e ha chiamato la polizia. La vittima è Giulio Neri, un imprenditore, molto conosciuto in città. Colpito alla nuca, con un oggetto contundente. Nessun segno di effrazione, nessuna traccia evidente lasciata dall’assassino.”
De Angelis annuì, ma dentro di sé sapeva già che c’era di più. Non era solo il metodo, era quel “silenzio” che Mantovani aveva menzionato. Ogni delitto aveva un’eco, una vibrazione che si rifletteva nell’ambiente. Questo caso, invece, sembrava avvolto da una calma innaturale, come se l’aria stessa si fosse fatta più densa.
“Chi ha chiamato il custode?” chiese, mentre l’ascensore saliva lentamente verso l’attico.
“Un inquilino del piano di sotto. Ha sentito qualcosa cadere, ma non ha saputo dire cosa.”
L’ascensore si fermò con un piccolo scossone. Le porte si aprirono, rivelando un corridoio riccamente decorato. L’attico si trovava in cima a un palazzo antico, con finestre che davano su tutta la città. De Angelis poteva già immaginare la scena: lusso, opulenza, una vita perfetta che si era spezzata all’improvviso.
L’appartamento era immerso in una penombra soffusa. Le luci della polizia brillavano attraverso le ampie finestre, creando ombre inquietanti sui muri. Il corpo di Giulio Neri giaceva riverso a terra, vicino alla scrivania del suo studio, in una posizione innaturale. C’era qualcosa di strano nella compostezza della scena. Sembrava tutto ordinato, pulito, quasi troppo.
De Angelis si chinò accanto al cadavere, osservando con attenzione ogni dettaglio. Il colpo alla nuca era stato preciso, netto. L’assassino aveva colpito da dietro, probabilmente mentre Neri stava lavorando. Non c’era traccia di lotta, né segni di panico o disordine. La vittima non aveva neppure avuto il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo.
“Che diavolo significa questo?” disse sottovoce Mantovani, richiamando l’attenzione del commissario.
Sul pavimento, accanto al corpo, c’era un’incisione. Sembrava un simbolo, tracciato con mano ferma. Era una sorta di cerchio, con linee spezzate al suo interno, come un antico sigillo o una runa. De Angelis lo osservò attentamente, facendo attenzione a non contaminare la scena.
“Lo hanno fatto di proposito,” disse De Angelis, più a se stesso che a Mantovani. “Questo non è solo un omicidio. Questo è un messaggio.”
“Un messaggio per chi?” chiese Mantovani, confusa.
“Per chiunque sappia cosa significa questo simbolo. Non è la prima volta che vedo qualcosa di simile.”
De Angelis si rialzò, guardandosi intorno. C’era qualcosa che stonava, qualcosa che non riusciva ancora a cogliere del tutto. Il simbolo era la chiave, ne era certo. Ma perché qualcuno avrebbe dovuto lasciare un indizio così evidente? Sembrava troppo facile, troppo calcolato.
Si girò verso Mantovani. “Voglio sapere tutto su Giulio Neri. Vita privata, affari, nemici, segreti. Questo non è un crimine comune, e sento che non sarà l’ultimo.”
Mentre De Angelis si allontanava dal corpo, un’ombra si mosse fugacemente fuori dalla finestra, come se qualcuno stesse osservando da lontano. Un brivido gli percorse la schiena, ma quando si voltò, non c’era più nessuno. Solo il silenzio della notte e la promessa di un incubo che stava appena iniziando.
Capitolo 2: La Prima Traccia
L’indomani mattina, De Angelis si svegliò presto. Nonostante il sonno fosse stato poco e agitato, la sua mente era già al lavoro. Il simbolo inciso sul pavimento della scena del crimine non riusciva a lasciarlo in pace. Aveva consultato il database della polizia, ma non aveva trovato nulla di simile nei casi recenti. Eppure, la sua memoria gli diceva che aveva già visto quel disegno.
Al commissariato, Alessandra Mantovani lo stava già aspettando con il fascicolo su Giulio Neri.
“Neri era un imprenditore di successo, ma non proprio uno stinco di santo,” disse, gettando il dossier sulla scrivania di De Angelis. “Negli anni ’90 è stato coinvolto in alcune truffe finanziarie, ma è riuscito a uscirne pulito. Ha avuto numerosi nemici negli affari e nella vita privata. Pare che avesse anche un lato oscuro, legato a interessi non proprio legali.”
De Angelis scorse rapidamente i documenti, soffermandosi sui particolari che potevano essere rilevanti. “Famiglia?”
“Sposato da vent’anni con Claudia Rossi. Hanno una figlia di diciotto anni, Luisa, che attualmente studia all’estero. Claudia sembra essere estranea agli affari del marito, almeno in apparenza. Ma non sappiamo molto altro su di lei.”
De Angelis rifletté per un istante. Non era insolito che uomini come Neri mantenessero la loro vita privata separata dagli affari, ma spesso le due cose si intrecciavano più di quanto si volesse ammettere.
“Il simbolo?” chiese, cercando conferme.
“Nulla di ufficiale. Ma ho trovato qualcosa di interessante,” rispose Mantovani, estraendo una vecchia foto ingiallita da una cartella. “Questo è un caso del 1985. Un altro omicidio, apparentemente irrisolto, con un simbolo simile inciso sul pavimento. Il caso è stato archiviato dopo pochi mesi, senza indagati.”
De Angelis prese la foto e la esaminò con attenzione. Il simbolo era quasi identico. Un’altra vittima, un altro messaggio.
“Non può essere una coincidenza,” disse. “Qualcuno sta cercando di dirci qualcosa. Ma chi? E perché?”
Capitolo 3: Sospetti e Segreti
Le luci fioche del commissariato filtravano dalle finestre mentre De Angelis e Mantovani si immergevano sempre più nella vita di Giulio Neri. Le indagini avevano già messo in luce molte ombre sull’imprenditore, ma nulla di sufficientemente concreto da collegare il suo omicidio a qualcuno in particolare.
“Abbiamo tracciato tutti i contatti recenti di Neri,” disse Mantovani, sistemando una serie di documenti sulla scrivania di De Angelis. “Ci sono molti affari sporchi, ma ciò che emerge è che da qualche mese Neri sembrava essere sotto pressione. Aveva ritirato grosse somme di denaro in contanti. E non sappiamo ancora perché.”
“Qualcuno lo stava minacciando?” chiese De Angelis, senza alzare lo sguardo dai fascicoli.
“È possibile. O forse stava cercando di comprare il suo silenzio o la sua sicurezza. Ma c’è un’altra cosa strana,” continuò Mantovani, posando una foto davanti a De Angelis. “Questa è una foto scattata una settimana prima della sua morte, durante una cena di gala. Qui lo vediamo insieme a Carlo Marino, il suo socio storico.”
Carlo Marino era un nome che De Angelis conosceva bene. Uomo d’affari ambiguo, legato a diverse speculazioni immobiliari e conosciuto per aver attraversato più di una volta la linea tra legale e illegale.
“Sospetti che sia coinvolto?” chiese De Angelis, alzando finalmente lo sguardo verso la sua collega.
“Non lo so, ma Carlo Marino e Neri hanno avuto più di una discussione negli ultimi mesi. C’è una transazione sospetta tra di loro, ma è impossibile da tracciare a fondo. Marino è un tipo scaltro, e ha un alibi per la notte dell’omicidio.”
De Angelis si alzò, camminando lentamente verso la finestra. La vista della città lo calmava, lo aiutava a mettere ordine nei suoi pensieri. La vita di Giulio Neri era come un labirinto di bugie, segreti e affari sporchi. Ma qualcosa non tornava. Non si trattava solo di soldi, c’era qualcos’altro, qualcosa di più antico e oscuro.
“Sappiamo che Neri aveva molti nemici,” rifletté De Angelis, “ma chiunque abbia messo quel simbolo sul pavimento non sta agendo solo per vendetta o denaro. C’è un significato dietro. Dobbiamo scoprire cos’è quel simbolo e come si collega agli omicidi.”
Capitolo 4: Il Secondo Omicidio
Mentre De Angelis e la sua squadra lavoravano instancabilmente per fare luce sul misterioso simbolo, una nuova tragedia colpì la città. Un altro uomo, Marco Rossi, un noto avvocato penalista, fu trovato morto nel suo studio, ucciso nello stesso modo di Giulio Neri. Anche questa volta, accanto al cadavere c’era lo stesso simbolo inciso sul pavimento.
La scena del crimine era quasi identica a quella di Neri: ordine, pulizia, nessun segno di effrazione o di lotta. De Angelis osservò il corpo con la stessa sensazione di disagio che aveva provato la prima volta. L’assassino era preciso, metodico, e sembrava godere nel lasciare quel marchio di morte come firma.
“Due omicidi in pochi giorni, lo stesso modus operandi,” disse Mantovani, scrutando la scena del crimine. “Questo non è più solo un caso isolato.”
De Angelis annuì, il suo cervello lavorava a pieno regime. “Questo è un serial killer. E sta seguendo un piano preciso.”
Rossi era un avvocato famoso, con una reputazione controversa. Aveva difeso numerosi criminali di alto profilo e non si era mai fatto scrupoli a giocare sporco per vincere. Le sue relazioni con la malavita erano conosciute, anche se mai provate ufficialmente. Ma cosa lo collegava a Giulio Neri? E perché l’assassino aveva scelto proprio loro?
“Abbiamo qualche sospetto?” chiese De Angelis, mentre si allontanava dal corpo.
“Per ora, niente di solido,” rispose Mantovani. “Ma ho trovato qualcosa di interessante sul simbolo.”
De Angelis si fermò di colpo. “Dimmi.”
“Il simbolo appartiene a un’antica setta che operava in Italia nel XVIII secolo. Si chiamavano I Guardiani dell’Ombra. Erano noti per eseguire riti segreti e sacrifici umani per mantenere il potere all’interno di cerchie ristrette di aristocratici e nobili. Si diceva che il loro obiettivo fosse quello di purificare il mondo da chiunque corrompesse l’ordine naturale delle cose.”
De Angelis rimase in silenzio, riflettendo su quelle informazioni. “Vuoi dirmi che siamo di fronte a una setta?”
“Non necessariamente una setta ancora operativa,” precisò Mantovani. “Ma qualcuno sta usando i loro simboli, forse per emulare quei riti, o forse per lasciarci un messaggio. Non sappiamo se è solo simbolismo o se c’è un reale legame con quei culti antichi.”
De Angelis si lasciò sfuggire un sospiro pesante. La situazione stava diventando sempre più complessa. “Qualunque cosa sia, dobbiamo fermarlo. E dobbiamo capire cosa collega Neri e Rossi alla setta. C’è una connessione, ne sono certo.”
Capitolo 5: Un Rompicapo Antico
De Angelis sapeva che per risolvere il mistero doveva andare a fondo nelle radici di quel simbolo e del culto dei Guardiani dell’Ombra. Incontrò il professor Giorgio Alighieri, un esperto di storia esoterica e simboli antichi, presso l’Università di Firenze. Era un uomo anziano, con una lunga barba grigia e occhi acuti che sembravano poter leggere la mente.
“Il simbolo che mi hai mostrato,” disse il professor Alighieri esaminando attentamente le foto scattate dalla polizia, “è effettivamente legato a una setta chiamata I Guardiani dell’Ombra. Tuttavia, non ci sono prove concrete che i loro rituali fossero mai stati effettivamente eseguiti. Si parlava di loro come di un gruppo di potenti uomini che agivano nell’ombra per preservare l’ordine sociale, ma queste storie sono avvolte da mistero e leggenda.”
De Angelis lo ascoltava attentamente, ogni parola sembrava gettare luce su nuove piste, ma allo stesso tempo aggiungeva confusione. “Cosa significa questo simbolo in particolare?”
“È un simbolo di purificazione,” spiegò il professore. “Era usato per segnare coloro che venivano considerati corrotti, moralmente o socialmente. Chiunque fosse marchiato con questo simbolo veniva eliminato, affinché l’ordine potesse essere ristabilito.”
De Angelis rimase in silenzio per un istante, la mente che correva alle due vittime. Entrambe avevano una vita pubblica e privata macchiata da comportamenti illeciti. “Quindi chiunque stia eseguendo questi omicidi pensa di purificare la città, eliminando quelli che considera corrotti?”
“Sembra proprio così,” rispose il professore. “Ma ciò che mi preoccupa è che, se questo è davvero il caso, allora siamo solo all’inizio. I Guardiani dell’Ombra non si fermavano mai a un solo sacrificio.”
Capitolo 6: Sotto Sorveglianza
Ritornato a Roma, De Angelis organizzò una sorveglianza intensiva intorno ai potenziali bersagli: uomini d’affari, politici e avvocati legati a Giulio Neri e Marco Rossi. La città era in preda al panico, mentre i giornali parlavano apertamente di un serial killer che colpiva senza pietà.
La pressione su De Angelis cresceva di giorno in giorno, ma lui sapeva che doveva mantenere la lucidità. Ogni mossa doveva essere pianificata, ogni decisione calcolata. L’assassino era un avversario astuto e imprevedibile, e ogni errore avrebbe potuto costare altre vite.
Capitolo 7: Il Tradimento
La sorveglianza intensificata sembrava non dare risultati. Ogni volta che De Angelis e il suo team credevano di essere vicini all’assassino, una pista si rivelava un vicolo cieco. Eppure, l’assassino sapeva muoversi con precisione, come se fosse sempre un passo avanti alla polizia. Questa consapevolezza cominciava a insinuare il sospetto che qualcuno, all’interno delle forze dell’ordine, potesse essere coinvolto.
Era una sera fredda quando De Angelis decise di affrontare il suo dubbio più profondo. Si recò nel suo ufficio con un senso di tensione crescente. Aveva notato piccoli dettagli: informazioni trapelate alla stampa, documenti che si perdevano, e una sensazione persistente che qualcosa non quadrava.
Alessandra Mantovani entrò senza bussare, come di consueto. Il suo volto era serio, come sempre, ma qualcosa nei suoi occhi rivelava una preoccupazione insolita.
“Abbiamo un problema, Luca,” disse, sedendosi di fronte a lui.
“Lo so,” rispose lui, osservandola con attenzione. “Ci sta sfuggendo qualcosa. E temo che il problema sia dentro casa nostra.”
Mantovani lo fissò per un attimo, poi annuì lentamente. “Ci ho pensato anch’io. Ho notato che qualcuno sta manomettendo i nostri rapporti, e alcune informazioni riservate sono state divulgate. Dobbiamo indagare internamente.”
De Angelis si sporse sulla scrivania, abbassando la voce. “Hai qualcuno in mente?”
“Non voglio saltare alle conclusioni, ma ci sono movimenti sospetti da parte di Francesco Pellegrini,” rispose Mantovani. Pellegrini era uno degli agenti più giovani nella squadra, intelligente, ambizioso, ma anche difficile da decifrare. Aveva fatto carriera rapidamente e sembrava sempre essere un passo avanti nelle indagini, talvolta con informazioni che non avrebbe dovuto possedere.
“Pellegrini, eh?” De Angelis rimase in silenzio per un istante. “Tienilo d’occhio, ma fallo con discrezione. Se è davvero coinvolto, non dobbiamo allertarlo. Deve sentirsi sicuro.”
Mantovani annuì, il suo sguardo deciso. “Faccio partire una verifica sui suoi movimenti.”
Capitolo 8: La Rivelazione
Passarono giorni senza sviluppi concreti, fino a quando una notte De Angelis ricevette una telefonata anonima. La voce, rauca e bassa, lo convocava in un vecchio magazzino abbandonato alla periferia della città. De Angelis sapeva che poteva essere una trappola, ma sentiva che non aveva scelta. C’era qualcosa di viscerale che lo spingeva ad andare.
Arrivato sul posto, il commissario si muoveva con cautela, la pistola nella fondina pronta a essere estratta in qualsiasi momento. L’edificio era fatiscente, pieno di polvere e odore di umidità. Camminò tra scatoloni e macchinari arrugginiti, fino a scorgere una figura che lo aspettava nell’ombra.
Era Giuseppe “Beppe” Farina, l’informatore della polizia. Il suo aspetto trasandato non era cambiato, ma c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi: paura, quella genuina, che neppure un uomo abituato a vivere ai margini della legge poteva nascondere.
“Beppe, cosa ci fai qui?” chiese De Angelis, avvicinandosi lentamente.
“Devi fermarli, Luca,” disse Beppe, con un tono spezzato. “Loro sanno che so troppo. Non ho mai voluto essere coinvolto in questa storia, ma ora sono nel loro mirino.”
“Di chi stai parlando?” incalzò De Angelis, cercando di mantenere la calma. “Chi ti sta minacciando?”
“I Guardiani… i Guardiani dell’Ombra non sono solo una leggenda,” sussurrò Beppe. “Sono reali, e stanno cercando di purificare la città eliminando chi ha macchiato l’ordine. Ho visto le persone con cui si incontrano. Sono potenti, più di quanto tu possa immaginare.”
De Angelis sentì un brivido lungo la schiena. “Chi sono queste persone?”
Beppe si guardò intorno nervosamente, come se temesse di essere visto o ascoltato. “Non posso dirtelo. Mi ucciderebbero. Ma c’è qualcuno… qualcuno che sta usando la polizia. Uno di voi è con loro. Non fidarti di nessuno.”
Prima che De Angelis potesse fare altre domande, Beppe si voltò e si dileguò nelle ombre, lasciandolo solo in quel magazzino vuoto e freddo. La rivelazione che uno dei suoi era coinvolto con la setta lo fece rabbrividire. L’informatore non aveva fornito nomi, ma quella notte il commissario capì che il tradimento era più vicino di quanto avesse immaginato.
Capitolo 9: Una Corsa Contro il Tempo
Il terzo omicidio non tardò ad arrivare. Carlo Marino, il socio in affari di Giulio Neri, fu trovato morto nel suo appartamento, colpito nello stesso modo degli altri, con il simbolo inciso accanto al corpo. Questa volta, però, l’assassino aveva lasciato un indizio più esplicito: un foglio di carta con una frase scritta a mano, posato sulla scrivania.
“Il tempo della purificazione è quasi finito.”
Il messaggio era inquietante. De Angelis capì che il killer aveva un piano preciso e che stava agendo seguendo una logica che solo lui poteva comprendere. Mancava poco alla conclusione di questo gioco mortale, e il commissario sapeva che doveva agire in fretta per fermarlo.
Con i nuovi indizi in mano, De Angelis intensificò le indagini su Pellegrini. L’agente aveva mostrato segnali sempre più sospetti: troppe informazioni conosciute in anticipo, movimenti poco chiari, e contatti che non riuscivano a essere verificati. Mantovani aveva fatto un lavoro eccellente, rintracciando i movimenti bancari di Pellegrini e trovando depositi di denaro ingenti, provenienti da conti offshore.
Non c’erano più dubbi: Pellegrini era il traditore.
Nel frattempo, De Angelis ricevette una soffiata su un quarto possibile bersaglio: un giudice in pensione, Francesco Orsini, che in passato aveva giudicato e assolto molti dei criminali difesi da Marco Rossi. La sua morte avrebbe chiuso il cerchio degli omicidi, completando quello che sembrava un rituale di purificazione.
De Angelis e Mantovani misero in atto un piano. Avrebbero usato Orsini come esca per attirare l’assassino e finalmente fermarlo.
Capitolo 10: Il Confronto Finale
La notte in cui tutto si sarebbe concluso era gelida e buia. Il giudice Orsini fu scortato in una villa isolata, sorvegliata da poliziotti scelti con la massima attenzione. De Angelis era sul posto, in attesa, consapevole che ogni minuto poteva essere quello decisivo.
L’orologio segnava le tre del mattino quando un’ombra si mosse tra gli alberi intorno alla villa. De Angelis, insieme a Mantovani, ordinò il silenzio assoluto. Le squadre speciali erano in posizione, pronte a intervenire.
E poi lo videro: Pellegrini. Si stava avvicinando alla villa, con una borsa in mano e un’espressione impassibile sul volto.
De Angelis diede l’ordine, e in un attimo la squadra circondò l’area, bloccando ogni via di fuga. Pellegrini capì di essere stato incastrato e tentò di scappare, ma fu subito immobilizzato dagli agenti.
“Maledetti!” gridò mentre veniva ammanettato. “Non potete fermare ciò che è già cominciato! La purificazione è inevitabile!”
De Angelis si avvicinò, il viso gelido di rabbia. “Perché l’hai fatto? Per chi stai lavorando?”
Pellegrini rise, una risata amara e folle. “Non puoi fermare l’ordine delle cose. Non lo capisci? Siamo tutti pedine di un disegno più grande. Le persone come Neri, Rossi, e Orsini… meritano di morire.”
“Chi ti ha ordinato di farlo? Chi è il mandante?” incalzò De Angelis.
Pellegrini smise di ridere e lo fissò con uno sguardo feroce. “Non lo scoprirai mai.”
Ma mentre lo portavano via, De Angelis sapeva che quello non era ancora il vero finale. Pellegrini era solo uno strumento. Il vero mandante era ancora là fuori, nell’ombra, e stava osservando.
Epilogo: Il Silenzio è Rotto
La città tornò lentamente alla normalità, ma il caso aveva lasciato cicatrici profonde. De Angelis sapeva che Pellegrini non era l’unico responsabile e che il vero leader dei Guardiani dell’Ombra, il Profeta, era ancora libero. Le sue indagini, tuttavia, si erano arenate in un muro di silenzio e segretezza.
Il commissario si trovava nel suo ufficio, fissando fuori dalla finestra. L’eco degli omicidi risuonava ancora dentro di lui. Sapeva che la lotta non era finita, ma quella notte, almeno, la città poteva dormire.
Ma mentre chiudeva gli occhi per un attimo, sentì una voce nella sua mente: “Il vero silenzio deve ancora cadere.”
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