Prologo
Il sole tramontava lentamente su Roma, colorando di rosso le mura del Colosseo. Il grande anfiteatro, che per secoli aveva rappresentato il cuore pulsante della gloria e della violenza dell’Impero, ora riposava, le sue ombre allungate sul suolo polveroso. Le grida di gioia e il clangore delle spade che solitamente risuonavano tra le sue mura erano cessati, lasciando spazio solo al silenzio della sera.
Nelle viscere della città, nascosto nell’oscurità delle celle sotterranee, un uomo aspettava. Il suo nome era Marco, un ex legionario romano, un tempo un soldato dell’Impero, ora ridotto a gladiatore. Ogni giorno, da tre anni, aveva combattuto per la sua vita nell’arena, e ogni giorno il suo corpo accumulava nuove cicatrici, come trofei di una guerra senza fine. Ma non era il dolore a preoccupare Marco. Non erano nemmeno le ferite che sanguinavano o le ossa rotte. Era la libertà, la sua ultima speranza, che lo tormentava come un sogno impossibile.
Seduto in una cella fredda e umida, Marco ripensava alla sua vita prima della schiavitù, quando il suo destino sembrava chiaro, segnato dall’onore e dal servizio all’Impero. Ma quel futuro era stato cancellato dal tradimento, dalla guerra, e dal caos che lo avevano trascinato in questo mondo di sabbia e sangue. Ora, il suo unico scopo era conquistare la libertà, non solo per sé, ma anche per l’uomo che gli sedeva accanto: Cassio.
Cassio, possente come una montagna, era diventato il suo più caro amico, il suo fratello di battaglia. Anche lui portava il peso della schiavitù, ma nel suo sguardo non c’era mai disperazione. Cassio credeva fermamente in un destino migliore, in una vita oltre l’arena, una vita che, se avessero avuto fortuna, avrebbero vissuto insieme. Ma Roma era una città di crudeltà e illusioni, e in quella città, anche i sogni più nobili potevano essere spezzati in un istante.
Le porte della loro cella si aprirono con un cigolio. Un giovane schiavo si avvicinò, la sua voce tremante mentre annunciava: “Domani combatterete nell’arena principale. L’imperatore sarà presente.”
Marco e Cassio si scambiarono un’occhiata. Sapevano cosa significava. L’imperatore non assisteva a combattimenti qualunque. Loro avrebbero dovuto dare tutto. La loro vittoria avrebbe potuto garantire la tanto agognata libertà, ma la sconfitta… beh, la sconfitta significava solo una cosa.
Mentre la notte avvolgeva Roma in un manto di stelle, Marco si sdraiò su una panca di pietra, guardando il soffitto della cella. Nel silenzio, ascoltava il battito del proprio cuore, un tamburo lento che scandiva il passare dei minuti. Domani avrebbe affrontato non solo un avversario, ma anche il suo destino.
La libertà non era mai stata così vicina, eppure mai così lontana.
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