L’Ultima Missione

L’Ultima Missione

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L’amore l’ha salvato, la vendetta l’ha risvegliato

Prologo.

Il silenzio era l’unico suono che conosceva.

Alexander Volk era immobile, nascosto nell’oscurità, con il dito che accarezzava il grilletto. Davanti a lui, a pochi metri di distanza, il bersaglio stava ridendo, ignaro di ciò che stava per accadere. Alexander aveva studiato quell’uomo per giorni: i suoi movimenti, le sue abitudini, le sue paure. Quando sparò, fu come spegnere una candela. Nessun rumore, nessun errore. Solo morte.

Era un lavoro come tanti, uno dei tanti che lo avevano reso una leggenda. Lo chiamavano “Lo Spettro” perché nessuno lo vedeva arrivare. Nessuno sopravviveva abbastanza a lungo per raccontarlo.

Ma Alexander non si sentiva un fantasma. Si sentiva un uomo vuoto, una macchina perfetta che non provava più nulla. Ogni colpo sparato lo lasciava più lontano dalla vita, più immerso nell’oscurità.

Poi, tutto era cambiato.

Un sorriso, un nome, un volto. Elena. Lei lo aveva fatto smettere. Gli aveva mostrato che c’era qualcosa di più grande, qualcosa per cui valeva la pena vivere. Alexander aveva gettato via le armi e aveva trovato la pace in una vita semplice, lontano da quel mondo di sangue e violenza.

Ma il passato non dimentica.

Quando la trovarono, quando le strapparono la vita davanti ai suoi occhi, Alexander capì che la pace era un’illusione. L’uomo che aveva cercato di diventare morì quella notte. Rimase solo il killer. Lo Spettro.

E ora, mentre guidava verso l’ennesimo bersaglio, Alexander sentiva di essere tornato quello di un tempo. Freddo, preciso, letale. Con una differenza: questa volta non c’era alcun denaro da incassare, nessun contratto da rispettare. Questa volta c’era solo vendetta.


La strada davanti a lui era lunga e piena di morte. Ma Alexander Volk sapeva una cosa: quando tutto fosse finito, quando il sangue si fosse asciugato, forse avrebbe trovato la pace. O forse sarebbe morto cercandola.

Capitolo 1

Il suono del silenziatore era quasi impercettibile, un sussurro di morte che si perdeva nella notte. Alexander Volk, conosciuto nel mondo criminale come “Lo Spettro”, abbassò lentamente l’arma e osservò il corpo che giaceva ai suoi piedi. Era stato un lavoro pulito, come sempre. Nessuna esitazione, nessun errore. Il bersaglio, un trafficante di droga colombiano, non avrebbe avuto il tempo di capire cosa fosse successo.

Alexander era il migliore, e lo sapevano tutti. Non era mai stato catturato, mai stato visto. Ma nonostante il rispetto e il timore che il suo nome incuteva, negli ultimi mesi si era accorto di qualcosa che lo logorava dentro: una profonda stanchezza. Non era fisica, ma mentale. Ogni colpo lo lasciava più vuoto, ogni missione gli ricordava quanto fosse distante da ciò che un tempo sognava di essere.

Finita la missione, Alexander tornò al suo rifugio, un appartamento anonimo in una periferia grigia di San Pietroburgo. Viveva nell’ombra, come un fantasma, senza legami, senza una vita reale. Quella sera, però, mentre si toglieva il giubbotto antiproiettile, il suo telefono squillò.

Era il suo contatto, Sergei, l’uomo che gli procurava i lavori. “Ne ho un altro per te. Pagano il doppio questa volta. È grosso.”

Alexander sospirò. “Non mi interessa.”

“Come sarebbe a dire? È perfetto per te. Uno come te non smette mai, lo sai bene.”

Quelle parole lo colpirono più di quanto avrebbero dovuto. Uno come lui non smette mai. Era vero? Era quello il destino che aveva scelto? Uccidere per sempre, fino all’ultimo giorno?

La chiamata si interruppe bruscamente, ma Alexander non aveva bisogno di conferme. Quel lavoro non l’avrebbe accettato. La decisione era presa.


La svolta arrivò pochi giorni dopo, in un caffè. Era un posto piccolo e nascosto, il genere di luogo in cui Alexander si sentiva al sicuro. Fu lì che la vide per la prima volta: capelli neri che scivolavano lungo le spalle, occhi profondi come pozzi oscuri, e un sorriso che sembrava poter illuminare la stanza. Lei non lo guardava con paura, ma con una curiosità che lo destabilizzava.

Si chiamava Elena. E in quel momento, per la prima volta in anni, Alexander si sentì vivo.

Passarono settimane, poi mesi. Alexander e Elena si frequentavano sempre più spesso. Lui le aveva raccontato di essere un uomo d’affari, lasciando nel vago i dettagli della sua vita. Lei, invece, era un’artista, una pittrice che vedeva la bellezza dove lui vedeva solo ombre.

Con lei, Alexander iniziò a immaginare un futuro diverso. Decise di smettere definitivamente, rompendo ogni legame con il suo passato. Vendette le armi che possedeva, tagliò i ponti con Sergei e si trasferì in una piccola casa di campagna con Elena, lontano da tutto e tutti.

Per la prima volta, Alexander pensò che la pace fosse possibile. Ma ciò che non sapeva era che il passato non dimentica, e che quando qualcuno come lui cerca di uscirne, ci sono sempre conseguenze.


Alexander aveva chiuso con la vita da killer, o almeno così pensava. Ma nel momento in cui aveva trovato la felicità, il destino aveva già iniziato a tessere la sua tela.


Capitolo 2

La casa era piccola, ma accogliente, immersa nella quiete di una campagna sconfinata. Per Alexander, quel posto era un rifugio, un pezzo di paradiso che non credeva di meritare. Ogni mattina, si svegliava accanto a Elena e per un istante si dimenticava chi fosse stato.

Elena era tutto ciò che Alexander non era: luminosa, solare, piena di sogni. Passava le giornate nel suo studio, circondata da tele, colori e pennelli. Alexander, invece, si occupava del giardino, una routine semplice che gli dava un senso di normalità.

“Stai diventando un contadino,” scherzava lei mentre lo osservava spalare la terra.
Lui sorrideva. “Forse è quello che avrei dovuto fare fin dall’inizio.”

Per mesi, la loro vita scorse tranquilla, come se il passato non esistesse. Alexander imparò ad apprezzare le piccole cose: il caffè al mattino, le serate davanti al camino, le risate di Elena. A volte, però, quando restava solo, il passato riaffiorava. Il suo corpo portava ancora i segni di quella vita: cicatrici nascoste sotto la pelle, che raccontavano storie di violenza e sopravvivenza.

Elena non sapeva tutto. Sapeva che Alexander aveva avuto una vita difficile, ma lui non le aveva mai raccontato i dettagli. “È un capitolo chiuso,” le aveva detto una volta, e lei non aveva insistito. Ma dentro di sé, Alexander sapeva che quel capitolo non era davvero chiuso.


Era una sera d’inverno, e la neve cadeva silenziosa sui campi. Alexander stava tagliando la legna quando notò un’auto nera ferma sulla strada sterrata. Era un dettaglio che avrebbe ignorato, se non fosse stato per l’uomo che lo osservava dal finestrino.

Non successe nulla. Dopo pochi secondi, l’auto ripartì. Ma Alexander non riuscì a togliersi quella scena dalla testa.

Quella notte, mentre Elena dormiva, Alexander prese una pistola che aveva nascosto sotto il pavimento, l’unica arma che non aveva avuto il coraggio di vendere. Restò seduto al buio, con lo sguardo fisso sulla porta, in attesa di qualcosa che non arrivò.

Il giorno dopo cercò di convincersi che era solo paranoia. Ma il passato ha un modo subdolo di tornare, soprattutto quando pensi di esserne al sicuro.


Qualche settimana dopo, Elena tornò a casa con una lettera in mano. “Era nella cassetta della posta,” disse, porgendogliela.

Alexander la prese con mani tremanti. Non c’era un mittente, ma il suo nome era scritto a mano sulla busta. La aprì lentamente, e dentro trovò una singola fotografia: lui ed Elena, seduti su una panchina in città.

Non c’era bisogno di parole. Era un messaggio chiaro. Qualcuno lo stava osservando, e sapeva tutto.

“Chi può avercela mandata?” chiese Elena, preoccupata.
Alexander finse di non sapere. “Probabilmente uno scherzo. Non pensarci.”

Ma dentro di sé, il gelo si era già fatto strada. Era Sergei? O qualcuno della mafia russa che aveva lavorato con lui in passato? Qualunque fosse la risposta, Alexander capì che la pace che aveva trovato era solo un’illusione.


Nonostante la paura, Alexander decise di non dire nulla a Elena. Lei era la sua ancora, l’unica cosa che gli impediva di scivolare di nuovo nell’abisso. Si ripromise che avrebbe fatto di tutto per proteggerla, anche se questo significava affrontare ciò che aveva lasciato alle spalle.

Ma il destino aveva altri piani.


La vita perfetta che Alexander aveva costruito iniziava a sgretolarsi. L’ombra del suo passato si avvicinava, lenta ma inesorabile. E mentre cercava di mantenere la promessa fatta a Elena, Alexander non sapeva che quella promessa sarebbe stata spezzata con una brutalità che non avrebbe mai potuto immaginare.


Capitolo 3

Era una sera come tante, una di quelle in cui il tempo sembrava sospeso. Alexander ed Elena erano seduti sul divano, avvolti da una coperta, mentre il fuoco scoppiettava nel camino. Lei stava raccontando uno dei suoi sogni di viaggiare in Italia, di visitare Firenze e Roma, mentre lui si perdeva nei suoi occhi, come faceva ogni volta.

“Promettimi che un giorno ci andremo,” disse Elena, stringendogli la mano.
“Te lo prometto,” rispose Alexander con un sorriso.

Quella fu l’ultima promessa che le fece.


Nel cuore della notte, Alexander si svegliò di soprassalto. Qualcosa non andava. C’era un silenzio innaturale nella casa, come se il mondo trattenesse il respiro. Si alzò senza fare rumore, i sensi affinati da anni di sopravvivenza in quel mondo oscuro.

Si accorse subito che la porta d’ingresso era socchiusa.

Il cuore gli batté forte mentre tornava in camera per prendere la pistola nascosta sotto il letto. Ma quando entrò nella stanza, trovò il letto vuoto. Elena non c’era.

Un singolo pensiero attraversò la sua mente: L’hanno presa.


La trovò nel giardino dietro la casa. Era inginocchiata sulla neve, con le mani legate dietro la schiena e due uomini in piedi accanto a lei. Uno fumava una sigaretta, l’altro reggeva una pistola puntata alla testa di Elena.

Alexander avanzò lentamente, alzando le mani. “Non fatelo. Qualsiasi cosa vogliate, possiamo risolverla.”

L’uomo con la sigaretta sorrise. “Hai davvero pensato di poter scappare, Volk? Che la tua vita potesse essere diversa?”
Alexander riconobbe quella voce. Era Sergei. L’uomo che gli aveva dato lavoro per anni, e che ora lo guardava con un misto di odio e divertimento.

“Questo è un messaggio,” continuò Sergei. “La famiglia non dimentica. Nessuno lascia questo mondo senza pagare il prezzo.”

Alexander fece un passo avanti, cercando di mantenere la calma. “Lasciala andare. Lei non c’entra nulla.”

“È proprio questo il punto,” disse Sergei. “Ora c’entra eccome.”

Senza alcun preavviso, l’uomo con la pistola premette il grilletto.

Il colpo squarciò il silenzio della notte. Elena cadde a terra, senza un suono.

Alexander rimase immobile, incapace di respirare, incapace di pensare. La sua visione si offuscò, e un grido di dolore esplose dalla sua gola.


Gli uomini non ebbero il tempo di reagire. In un movimento fluido, Alexander estrasse la pistola dalla tasca del giubbotto e sparò al primo uomo, colpendolo alla testa. Sergei urlò un ordine, ma Alexander era già su di lui.

Gli anni passati a vivere come un predatore tornarono in un istante. Alexander si mosse come un’ombra, eliminando i due uomini rimasti con una precisione letale. Sergei cercò di scappare, ma Alexander lo afferrò per il collo e lo trascinò a terra.

“Avete fatto un errore,” sibilò Alexander, stringendo la presa. “Non è finita finché non lo dico io.”

Con un movimento secco, spezzò il collo di Sergei.

Ma non c’era sollievo. Non c’era vittoria. Quando si voltò, vide il corpo di Elena sulla neve. Si inginocchiò accanto a lei, prendendole il viso tra le mani. “Mi dispiace,” sussurrò, mentre le lacrime gli rigavano il volto. “Mi dispiace…”


Quella notte, Alexander seppellì sua moglie nel giardino, sotto il ciliegio che avevano piantato insieme. Quando tornò in casa, accese il camino e aprì un vecchio baule che non toccava da anni.

Dentro c’erano i resti del suo passato: un fucile di precisione, pistole, coltelli e un passaporto falso. Prese tutto, preparandosi a tornare nell’unico mondo che conosceva.

Guardandosi nello specchio, vide un uomo diverso. Il contadino, il marito innamorato, non c’era più. Rimaneva solo lo Spettro.

Alexander Volk era tornato.


La morte di Elena aveva distrutto l’uomo che Alexander era diventato, ma aveva riportato in vita qualcosa di molto più pericoloso. La vendetta non era solo un desiderio, era una necessità. E Alexander sapeva esattamente da dove cominciare.


Capitolo 4

La notte era diventata la sua unica compagna. Alexander guidava lungo una strada deserta, con una vecchia borsa sul sedile accanto a lui. Dentro c’erano le sue armi, i suoi strumenti, e una lista di nomi. Ogni nome era un tassello della famiglia che aveva distrutto la sua vita. E ogni nome sarebbe stato cancellato.

La prima tappa fu San Pietroburgo, dove tutto era iniziato.


Alexander si diresse verso un quartiere malfamato della città, un luogo che conosceva bene. Lì trovò Victor, un ex-informatore che aveva lavorato per la mafia. Era un uomo grasso e sudato, che trascorreva le sue giornate nascosto in un bar di quarta categoria, vendendo informazioni al miglior offerente.

Alexander entrò nel bar senza dire una parola. Il locale era pieno di fumo, e gli sguardi dei clienti si alzarono solo per un momento, prima di tornare ai loro bicchieri. Quando Victor lo vide, il suo volto si fece pallido come la neve.

“Alexander… non sapevo fossi ancora vivo,” balbettò.

“Non solo sono vivo,” rispose Alexander, afferrandolo per il colletto, “ma ho bisogno di informazioni. Subito.”

Victor cercò di resistere, ma il vecchio Alexander era troppo intimidatorio per essere ignorato. “Che cosa vuoi sapere?”

“La mafia russa. Chi è in cima ora? E dov’è?”

Victor esitò. “È sempre Ivanov. Dopo Sergei, lui è il capo. Ma è ben protetto, Alexander. Non puoi solo… andare lì e ucciderlo.”

Alexander si avvicinò ancora di più, fissandolo negli occhi. “Io non sto chiedendo il tuo consiglio. Dammi i nomi, i luoghi, tutto quello che sai.”


Il primo nome sulla lista era Nikolai Ivanov, il figlio del capo della mafia. Era conosciuto per il suo stile di vita decadente: feste, donne e un’ostentazione di potere che Alexander trovava disgustosa.

Nikolai si trovava in una discoteca esclusiva, circondato da uomini armati e modelle che sorseggiavano champagne. Alexander entrò nel locale con passo deciso, indossando un abito elegante che gli permetteva di mimetizzarsi tra i clienti.

Gli occhi freddi di Alexander scansionarono la stanza. Vide Nikolai al centro del locale, seduto su un divano di pelle, con una donna sulle ginocchia e un bicchiere in mano. Gli uomini della sua scorta si trovavano nei punti strategici della sala, ma erano troppo distratti per notarlo.

Alexander si avvicinò al bar e ordinò un drink, ma non lo bevve. Infilò un piccolo dispositivo nella tasca interna della giacca, un inibitore di segnale che avrebbe bloccato qualsiasi comunicazione nel raggio di venti metri.

Poi iniziò il caos.

In pochi secondi, Alexander si mosse come un’ombra, eliminando uno ad uno gli uomini della scorta di Nikolai con colpi rapidi e precisi. Gli spari si persero tra la musica assordante, e la folla impiegò qualche istante per capire cosa stava succedendo.

Quando Nikolai realizzò che era rimasto solo, Alexander era già davanti a lui, con la pistola puntata al suo volto.

“Chi di voi ha ordinato la morte di mia moglie?” chiese Alexander con una calma glaciale.

Nikolai balbettò qualcosa, ma Alexander non gli diede il tempo di rispondere. Gli sparò a una gamba, facendolo urlare di dolore.

“La tua famiglia ha firmato la sua condanna,” continuò. “E adesso firma la tua.”

Con un colpo secco, Alexander mise fine alla vita di Nikolai. Ma prima di andarsene, lasciò un messaggio chiaro: scrisse con il sangue del giovane una parola sul pavimento. Volk.


La morte di Nikolai fu come un fulmine a ciel sereno per la mafia russa. Le voci iniziarono a circolare: lo Spettro era tornato, e stavolta non c’era niente che potesse fermarlo.

Ma Alexander sapeva che quello era solo l’inizio. Nikolai era stato facile da eliminare, un bersaglio visibile e vulnerabile. Gli altri non sarebbero stati così semplici.


Mentre si preparava per il prossimo colpo, Alexander ricevette una chiamata da un numero sconosciuto. Rispose, con l’arma già in mano.

“Allora, Volk. Hai iniziato la tua guerra,” disse una voce familiare. Era Dmitri, un ex-collaboratore di Alexander, ora al servizio della mafia.

“Non è una guerra,” rispose Alexander. “È un’estinzione.”

“Non pensare di poter fare tutto da solo. Noi sappiamo chi sei. Sappiamo cosa hai fatto. Ti troveremo.”

“Non dovete cercarmi,” disse Alexander. “Sarò io a trovarvi.”

La linea cadde, ma Alexander sapeva che Dmitri sarebbe stato il prossimo.


Il sangue di Nikolai aveva solo iniziato a macchiare le mani di Alexander. Ma più si avvicinava alla cima, più il pericolo aumentava. La mafia stava iniziando a reagire, e il passato di Alexander stava per tornare a tormentarlo in modi che non poteva immaginare.


Capitolo 5

La pioggia cadeva incessante, trasformando le strade di Mosca in specchi scuri. Alexander aspettava in un’auto rubata, parcheggiata sotto un edificio abbandonato. Dmitri si trovava lì, secondo le informazioni raccolte da Victor. Era un vecchio magazzino, ora utilizzato come punto d’incontro per scambi illeciti.

Alexander conosceva Dmitri da anni. Un tempo erano stati una squadra: fianco a fianco, missione dopo missione. Dmitri era astuto, ma anche ambizioso. E quell’ambizione lo aveva portato a unirsi alla mafia russa, ignorando ogni codice d’onore che avevano condiviso.

Quella notte, però, Dmitri non era solo. Alexander aveva osservato l’ingresso del magazzino per ore, prendendo nota del numero di uomini che lo proteggevano. Dieci guardie, tutte pesantemente armate. La difficoltà non lo preoccupava: era abituato a operare in condizioni peggiori.

Con un ultimo controllo alla sua pistola e al silenziatore, Alexander uscì dall’auto. La pioggia gli bagnava il volto, ma non gli importava. Quella notte avrebbe aggiunto un altro tassello alla sua vendetta.


Alexander si mosse nell’ombra, aggirando le guardie esterne senza fare rumore. Con un coltello, eliminò il primo uomo, tirandolo nell’oscurità prima che potesse urlare. Il secondo cadde pochi minuti dopo, un colpo di pistola silenziato che non attirò l’attenzione.

All’interno del magazzino, le guardie erano rilassate, ignare del pericolo. Alexander si fece strada con precisione chirurgica, abbattendo uno dopo l’altro i nemici, finché non rimase solo Dmitri.

Lo trovò al centro di una stanza, seduto a una scrivania con una bottiglia di vodka e un sigaro. Quando alzò lo sguardo e vide Alexander, scoppiò a ridere.

“Sapevo che saresti venuto,” disse Dmitri, alzandosi. “Non sei mai stato bravo a lasciarti il passato alle spalle.”

Alexander puntò la pistola verso di lui. “Non è il passato. È il presente. E sta per finire.”


Ma Dmitri non era disposto a morire così facilmente. Con un movimento rapido, rovesciò la scrivania e si nascose dietro di essa, afferrando una pistola. Iniziò una sparatoria intensa, con i proiettili che rimbalzavano sulle pareti metalliche del magazzino.

Alexander si mosse con precisione, sfruttando ogni angolo come copertura. Dmitri era un avversario abile, ma Alexander era un cacciatore nato. Dopo alcuni minuti, Dmitri rimase senza proiettili.

“È questo il tuo piano?” gridò Dmitri, cercando di guadagnare tempo. “Uccidere tutti e poi cosa? Pensavi davvero che saremmo stati noi a ordinare la morte di tua moglie? Ti stai facendo usare, Volk. Come sempre.”

Alexander si fermò per un momento, le parole di Dmitri rimbombavano nella sua mente. Ma non c’era spazio per il dubbio. “Non mi interessa chi ha dato l’ordine,” rispose freddamente. “Siete tutti responsabili.”

Un istante dopo, Alexander uscì dalla sua copertura e sparò. Il colpo colpì Dmitri alla spalla, facendolo cadere a terra.


Alexander si avvicinò lentamente, puntando la pistola alla testa di Dmitri. “Dimmi dove si nasconde Ivanov,” ordinò.

Dmitri sorrise, tossendo sangue. “Ti dirò una cosa, Volk. Ucciderai Ivanov, forse. Ma non cambierà nulla. Non c’è fine a questo gioco. Uccidi un uomo e un altro prenderà il suo posto. È così che funziona.”

Alexander spinse la canna contro la fronte di Dmitri. “Ivanov,” ripeté.

Alla fine, Dmitri cedette. “È a Sochi. Una villa sulla costa. Ma ti aspetta, Volk. Non andrai lontano.”

Alexander non rispose. Premette il grilletto, mettendo fine alla vita del suo vecchio amico.


Prima di lasciare il magazzino, Alexander prese il telefono di Dmitri e inviò un messaggio ai contatti principali della mafia: Volk è qui. Siete i prossimi.

Era un avvertimento, ma anche una dichiarazione di guerra. Ogni nome sulla sua lista avrebbe saputo che la loro fine era vicina.


Quella notte, Alexander si fermò in un motel sulla strada per Sochi. Mentre puliva la sua pistola, ripensò alle parole di Dmitri. Aveva ragione? La sua vendetta avrebbe davvero cambiato qualcosa?

Guardò la foto di Elena, l’unica che portava sempre con sé. Non importava. Non stava cercando di cambiare il mondo. Stava cercando giustizia, o almeno ciò che ne restava.


Con Dmitri fuori dai giochi, Alexander si avvicinava sempre di più alla cima della piramide. Ma sapeva che ogni passo lo portava anche più vicino alla morte. A Sochi, Ivanov lo aspettava, e con lui, l’ultimo ostacolo della sua vendetta.


Capitolo 6

La villa di Ivanov si ergeva sulla costa di Sochi come una fortezza. Un’enorme costruzione bianca, circondata da alte mura e guardie armate. Era un luogo costruito per resistere, per proteggere chi vi abitava. Ma Alexander non cercava vie di fuga. Quella notte sarebbe stata la sua ultima battaglia, e lui lo sapeva.


Alexander aveva passato giorni a pianificare ogni dettaglio. Attraverso il telefono di Dmitri, aveva individuato gli spostamenti di Ivanov e studiato i punti deboli della villa. Aveva scoperto che il perimetro era sorvegliato da telecamere e guardie a turni, ma c’era un’interruzione nella sicurezza quando venivano consegnate le provviste.

Usò quel momento per introdursi nella proprietà, nascondendosi tra le ombre come uno spettro. Indossava un giubbotto nero e aveva con sé solo l’essenziale: pistola, coltelli, esplosivi artigianali e una determinazione che bruciava più intensa del dolore che lo accompagnava.


Alexander cominciò con il sistema di sicurezza. Si infilò in una sala di controllo vicino all’ingresso principale, dove due uomini monitoravano le telecamere. Li eliminò senza rumore, con due colpi rapidi alla testa, e posizionò un piccolo dispositivo che mandò in corto circuito tutte le telecamere.

Il cuore della villa era ora cieco. Alexander si spostò velocemente, eliminando le guardie con precisione chirurgica, lasciando dietro di sé un sentiero di cadaveri.


Alexander raggiunse il salone principale, dove Ivanov lo aspettava. Era seduto su una poltrona di pelle nera, circondato dai suoi uomini. Era un uomo imponente, con una cicatrice che attraversava il volto e uno sguardo pieno di odio.

“Volk,” disse Ivanov, alzandosi lentamente. “Hai ucciso mio figlio. Hai distrutto metà della mia organizzazione. E ora sei qui, da solo, a morire.”

Alexander lo fissò, impassibile. “Tu hai ucciso mia moglie.”

Ivanov scoppiò a ridere. “Tua moglie? Era solo una pedina, Volk. Dovevi imparare che nessuno lascia questo mondo senza pagare il prezzo.”

Le parole di Ivanov alimentarono la furia di Alexander. Senza aspettare, tirò fuori una granata fumogena e la lanciò al centro della stanza. Il fumo riempì il salone, creando caos e confusione tra le guardie di Ivanov.

In quel momento, Alexander si mosse come un predatore. Eliminò gli uomini uno dopo l’altro, usando il coltello per abbatterli nel silenzio. Quando il fumo si diradò, solo Ivanov rimase in piedi.


Ivanov impugnava una pistola, ma le sue mani tremavano. Alexander lo affrontò a distanza ravvicinata, con la sua pistola puntata contro il petto del capo della mafia.

“Tu pensi che questo ti dia pace?” disse Ivanov, sorridendo debolmente. “Tua moglie è morta. Tu sei morto. Questo è tutto ciò che sei.”

Alexander strinse la mandibola, ma non abbassò la pistola. “Lei era la mia vita. E tu hai firmato la tua morte il giorno in cui l’hai toccata.”

Ivanov cercò di sparare, ma Alexander fu più veloce. Premette il grilletto tre volte, colpendo Ivanov al petto. L’uomo cadde a terra, tossendo sangue, mentre il suo corpo si spegneva lentamente.

Alexander si avvicinò e si inginocchiò accanto a lui. “Hai ragione,” disse con voce glaciale. “Io sono morto. Ma ora lo sei anche tu.”


Con Ivanov morto, Alexander si alzò e guardò intorno a sé. La villa era silenziosa, i corpi degli uomini di Ivanov giacevano ovunque. Ma invece di sentirsi vittorioso, Alexander si sentiva vuoto. La vendetta era stata consumata, ma non aveva portato alcuna pace.

Lasciò la villa, camminando lentamente lungo la strada deserta. La notte era silenziosa, ma dentro di lui c’era una tempesta che non accennava a placarsi.


Alexander tornò alla sua casa isolata, quella che una volta condivideva con Elena. Tutto era come lo aveva lasciato, tranne che ora la casa sembrava più fredda, più vuota. Si sedette sul divano, fissando il camino spento, quando sentì un rumore alla porta.

Si alzò lentamente, con la mano sulla pistola, e aprì. Davanti a lui c’era un piccolo cagnolino, magro e tremante. Lo guardava con occhi pieni di fiducia, nonostante tutto ciò che aveva probabilmente vissuto.

Alexander si inginocchiò, osservando il cucciolo. Per la prima volta da mesi, sentì qualcosa dentro di sé che non era rabbia o dolore. Era un ricordo di Elena, della sua voce gentile, del suo sorriso.

Prese il cagnolino tra le braccia e chiuse la porta.


Alexander aveva chiuso i conti con il passato, ma il vuoto dentro di lui rimaneva. Forse non avrebbe mai trovato la pace, ma quella notte, con il cagnolino che dormiva accanto a lui, capì che c’era ancora qualcosa per cui vivere.


Conclusione

Alexander si svegliò all’alba, con la luce del sole che filtrava attraverso le tende della casa. Il cagnolino, accoccolato accanto a lui, si stiracchiava con piccoli movimenti lenti. Per la prima volta dopo tanto tempo, Alexander si sentì quasi in pace.

Si alzò e andò verso il giardino, quello stesso giardino che aveva condiviso con Elena, dove l’aveva seppellita sotto il ciliegio. L’albero era spoglio, i suoi rami protendevano verso il cielo grigio come dita ossute. Alexander si inginocchiò davanti alla terra gelata, posando una mano sul suolo.

“È finita,” sussurrò. “Ho fatto quello che dovevo fare. Ma non ti riporterà indietro.”

Le sue parole si persero nel silenzio della campagna. Non c’era nessun pubblico, nessuna redenzione, solo la consapevolezza che aveva mantenuto la promessa. Aveva fatto pagare il prezzo a coloro che avevano distrutto la sua vita, ma ora doveva affrontare qualcosa di molto più difficile: il futuro.


Alexander tornò in casa, il cagnolino lo seguiva a pochi passi di distanza. Prese il baule che custodiva le sue armi e lo aprì per l’ultima volta. Fissò il contenuto per diversi minuti, ripercorrendo con la mente tutto ciò che quelle armi avevano significato per lui: potere, sopravvivenza, vendetta.

Poi, una dopo l’altra, prese le pistole, i coltelli e gli esplosivi, e li portò nel capanno in fondo al giardino. Con un fiammifero acceso, diede fuoco a tutto. Le fiamme divamparono velocemente, consumando ogni traccia del suo passato.

Quando il fuoco si spense, Alexander si voltò e tornò verso la casa.


I giorni seguenti trascorsero lentamente. Alexander si dedicò alla casa e al giardino, come faceva prima che tutto crollasse. Il cagnolino divenne il suo compagno inseparabile, una piccola presenza che riempiva i vuoti della solitudine. Lo chiamò Sasha, come Elena aveva sempre voluto chiamare un animale domestico.

Un pomeriggio, mentre era seduto sul portico con Sasha accanto, Alexander prese un taccuino e iniziò a scrivere. Non sapeva se quelle pagine sarebbero mai state lette da qualcuno, ma sentiva il bisogno di raccontare la sua storia, di mettere nero su bianco le sue colpe, il suo dolore e ciò che aveva imparato.

Scrisse fino al tramonto, poi chiuse il taccuino e guardò l’orizzonte.

“Elena,” disse piano, come se lei potesse sentirlo. “Sto cercando di vivere. Non so se ci riuscirò, ma ci sto provando.”


Epilogo

Qualche mese dopo, una giovane coppia passava davanti alla casa di Alexander. Avevano perso la strada e cercavano indicazioni. Bussarono alla porta, ma non ci fu risposta. Attraverso la finestra, videro un uomo seduto su una sedia, con un cane ai piedi e un taccuino sulle ginocchia.

Alexander sembrava sereno, come se stesse riposando. La coppia si allontanò, senza sapere che quello era il momento in cui Alexander Volk, lo Spettro, aveva trovato finalmente la pace.

Sasha restò accanto a lui, fedele fino alla fine.


Fine.

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